28 Set CASO CLINICO DI TRAUMA INFANTILE STORIA DI BEPPE
Beppe è un’uomo di 71 anni . Arriva da me su spinta dei figli, uno dei quali mi aveva fatto una telefonata preventiva raccontandomi la sua preoccupazione. Dopo il pensionamento le sue condizioni psico-fisiche sono andate deteriorandosi il padre è sempre più cupo e chiuso in se stesso. Passa sempre più tempo in casa, a volte sembra assente, con lo sguardo perso nel vuoto. Il figlio non si capacita del fatto che, ad esempio, il padre non goda nell’ accompagnare la nipotina più piccola all’asilo. Lo fa sì ma come per obbligo e senza slancio. Ha una serie di disturbi fisici ai quali non corrisponde una diagnosi medica. A volte è irascibile con la moglie. Il medico di base ha consigliato una visita psichiatrica ma lui preferisce sentire prima il parere di uno psicologo e lo stesso padre non vuole prendere psicofarmaci.
Mi trovo davanti un uomo più arzillo e loquace di come me l’ero figurato. “Non so cosa dirle…loro insistono tanto…dicono che non capiscono perché sia sempre triste…per me è normale ..sono vecchio” . Potrebbe sembrare una semplice crisi esistenziale conseguente al cambiamento di vita post pensionamento ma non è così. Mi racconta di aver iniziato a lavorare molto giovane come apprendista, di avere lavorato sodo anche il sabato e la domenica e di avere poi avviato un’azienda artigianale in proprio, azienda che oggi viene portata avanti da uno dei figli. Ma non è il lavoro che gli manca, ha scelto lui di ritirarsi perché da alcuni anni di sentiva stanco “ma non nel corpo…sono stanco nella testa …ho tante cose che mi pesano…a volte sento che mi rimbombano dentro”.
Passiamo in rassegna la sua vita presente e non emergono problemi degni di nota sia in famiglia che che nelle relazioni sociali. Moglie, figli e nipoti sono presenti ed affettuosi e gode di una buona rete parentale ed amicale Da quando ha lasciato il lavoro è diventato volontario della Croce Verde anche se è poco presente a causa dei suoi “disturbi”. Nei giorni migliori riesce a vincere la pigrizia ed uscire in bicicletta. Quando torna però si sente sprofondare ancora di più nella malinconia.
Si arrabbia con se stesso perché non capisce il motivo dei suoi sbalzi d’umore improvvisi, della voglia di non alzarsi più dal letto, della mancanza di interesse per la vita. Si dice “non mi manca niente…ho avuto tutto dalla vita…potrei godermi la vecchiaia senza preoccupazioni di alcun tipo invece…” . Si chiede “sto forse diventando pazzo??”.
Quando gli chiedo di raccontarmi la sua storia è perplesso ed imbarazzato. Risponde “ Cosa devo dire…ho avuto un’infanzia felice, normale, come tutti gli altri bambini” . Quando chiedo degli esempi è molto vago…si ricorda la sua Prima Comunione…una volta che giocando al pallone in cortile è caduto ed è finito contro un vetro… Aveva circa 10 anni sulla sua vita precedente c’è il buio assoluto. La famiglia si era trasferita “dal Veneto” quando lui aveva 5 anni ma “ero troppo piccolo per ricordare” taglia corto. “So solo che i miei genitori si sono dati da fare e sono riusciti ad inserirsi in Brianza trovando subito casa e lavoro”. Poi aggiunge “i miei parlavano poco …non mi hanno mai detto niente di quando stavano al paese..so che avevano una fattoria e che facevano i contadini.. al paese non mi hanno mai portato..”.
Improvvisamente la sua espressione muta, si agita, si rabbuia, la voce cambia, manifesta un leggero tremolio in tutto il corpo. “Vede?! Mi succede sempre così …sto parlando tranquillamente e senza motivo mi arriva l’onda nera…sto male…il cuore mi batte ..come se dovesse succedermi qualcosa di brutto”.
Intuendo che questa reazione non è casuale gli propongo di lavorare sulla visualizzazione della sua prima infanzia per capire cosa c’è in quel black out di 10 anni di vita. Accetta.
Nella seduta successiva Beppe appare un po’ scosso. Mi dice che durante la settimana si è ricordato che la sua famiglia non era immigrata da un generico Veneto, bensì da…, un paese in provincia di Rovigo in seguito alla grande inondazione che nel 1952 colpì il Polesine spazzando via persone, case e cose. Mentre ribadisce come un mantra “però non ricordo niente ero troppo piccolo” cominciano ad affiorare dei flash back. Poi arrivano frammenti di memoria e come i pezzi di un puzzle affiorano ricordi sempre più nitidi. Si sente come “precipitato in un altro mondo” pieno di paura, terrore, morte. Descrive con gli occhi sbarrati immagini che sembrano scorrere in quel preciso istante sotto i suoi occhi che sono diventati quelli del bambino di 5 anni. Vede la stalla portata via dalla piena insieme alle mucche, il suo cane Lessy in bilico su un tronco trascinato dalla corrente che lo guarda con occhi strazianti. Poi arriva la scena regina: il nonno che issa sul tetto la nonna ed il fratello maggiore ma poi tutti vengono travolti dall’onda. Lui in salvo in braccio alla mamma assiste impotente alla scena .
Beppe ascolta se stesso narrare ed è sbalordito: queste immagini sono sempre state dentro di lui ma solo adesso riesce a vederle o meglio a guardarle. In casa sua non si era mai parlato della tragedia, come se tra i genitori ci fosse un tacito patto che solo seppellendone la memoria avrebbero potuto superare il trauma. Di fronte a questo veto, al piccolo Beppe non restava che “cancellare” quelle immagini terrificanti dissociandole da se stesso.
Solo adesso comincia a realizzare che le aveva solo rimosse dalla coscienza consapevole per tutti questi anni. Capisce che i ricordi rimossi erano comunque dentro di lui e che in qualche modo si sono sempre fatti sentire. .
Beppe se ne rende conto ripensando a tutta la sua vita solo in apparenza “normale”.
Realizza che lavorare quattordici ore al giorno gli serviva per stordirsi e per non sentire emozioni dolorose: senso di pericolo incombente, sensazioni di paura e di angoscia immotivate, continuo stato di allarme. La fatica lo aiutava a coprire i sensi di colpa per essere sopravvissuto. Il tempo non ha mitigato il ricordo implicito. Ora come allora basta poco perché Beppe si trovi immerso in emozioni che lo precipitano in un clima di paura. Ad esempio una brutta notizia in televisione, il temporale, le previsioni meteorologiche scatenano in lui la sensazione di un pericolo sconosciuto quanto imminente . Solo adesso comincia ad intuire perché, ad esempio, ha sempre avuto terrore dell’acqua e non ha mai imparato a nuotare.
Perchè non è mai riuscito a guardare un fiume scorrere placidamente senza sentire una morsa allo stomaco. Perchè negli anni ha sofferto di diverse paure e fobie , come prendere il treno e l’aereo.
Solo ora l’espressione tragica che ha sempre visto stampata sul viso della mamma ed i suoi momenti di indifferenza verso di lui, cominciano ad avere una spiegazione . Beppe prova sollievo nel constatare che non era lui la causa della sua infelicità.
Spiego che questo evento vissuto nella sua prima infanzia, sia per la sua tragicità che per il lungo oblio nel quale è stato avvolto, è un trauma mai digerito e che quindi continua ad interferire sulla sua vita emotiva, anche se fino a ieri in modo silente. E’ quindi necessario procedere all’elaborazione degli episodi ad esso collegati.
Scegliamo i traumi più significativi: a cominciare dai tragici momenti dell’alluvione, la morte del fratello e dei nonni, la fuga dalla devastazione e l’abbandono della casa. Poi episodi degli anni successivi in cui Beppe ha cercato con tutte le forze di rompere, senza mai riuscirci, il muro di mutismo costruito dai famigliari. Episodi emblematici della loro incapacità a dare voce alle angosce del figlio ed a condividere il comune dolore. Oppure episodi in cui veniva schernito dai compagni per le sue paure e per la sua timidezza “mi sono sempre sentito un bambino diverso ma non sapevo perchè”.
Mettere insieme questi pezzi di memoria e trasformarli in una narrazione dalla quale estrapolare i ricordi traumatici ha richiesto tempo ed impegno, ancora di più l’elaborazione di ferite antiche ma ancora sanguinanti. Ma i risultati stanno già arrivando. Beppe si sente finalmente libero da un peso invisibile ma enorme. La sua vita sta cominciando a cambiare ed anche i disturbi psicosomatici si stanno riducendo.
La psicoterapia è a buon punto e sono ottimista sul fatto che sarà una storia a lieto fine.
Per l’elaborazione dei traumi di Beppe sto utilizzando, tra l’altro, il metodo EMDR (Eye Movement Desensitation and Reprocessing) .