La rabbia è un’emozione preziosa che serve alla sopravvivenza e che, se non viene enfatizzata oppure repressa, nella maggior parte delle persone la rabbia tende a scomparire nel giro di 10-15 minuti.
La rabbia, ha lo scopo di aiutarci a percepire un pericolo, un’ingiustizia e di conseguenza a fronteggiarli. E’ un campanello d’allarme che ci segnala, ad esempio, che quella precisa situazione ci sta provocando o ci ha provocato del malessere e che dobbiamo agire di conseguenza.
La rabbia diventa negativa quando si trasforma in ruminazione rabbiosa e sfocia inevitabilmente in aggressività e violenza verbale o fisica.
Il pensiero è ripetitivo ed il soggetto-vittima ritorna ossessivamente sul torto subìto o presunto tale (rabbia contro l’aggressore) e su quello che egli avrebbe dovuto fare per restituire l’offesa subita (rabbia contro se stesso).
L’ideazione persecutoria , desiderio di vendetta e le fantasie di ritorsioni sul presunto aggressore amplificano l’intensità e la durata della rabbia.
Quando l’aggressività viene rivolta contro se stessi può trasformarsi in depressione.
Non sempre esiste un evento scatenante, un persecutore e di conseguenza la percezione di sè come vittima. A volte la rabbia insorge in modo subdolo e improvviso, senza sapere che cosa l’abbia determinata e senza alcuna possiiblità di controllarla.
“E’ come se dentro di me ci fosse un mostro rabbioso che improvvisamente si risveglia…” ( verbalizzazione di una mia paziente).
Le persone reagiscono agli eventi avversi in modi diversi .
Facciamo un esempio semplice: Gianni e Giovanni stanno guidando ed un auto taglia loro la strada. Gianni, superato un primo momento di forte attivazione emotiva dovuta alla paura, inveisce contro l’automobilista “scorretto” ma riesce a rilassarsi provando sollievo per la mancata collusione.
Giovanni reagisce in modo opposto: furioso ed in preda ad un’agitazione psicomotoria incontenibile urlando e gesticolando si lancia all’inseguimento dell’auto “pirata” e ….il resto potete immaginarlo.
E’ chiaro che le due differenti reazioni sono determinate dal fatto che i due individui hanno un carattere diverso. In Giovanni il pericolo ha attivato in modo automatico uno stile comportamentale che fa parte del suo modo di essere e che ha appreso da modelli disfunzionali. Possiamo dedurre che nella sua vita di tutti i giorni si imbatterà in ostacoli più o meno grandi che scateneranno la stessa rabbia incontrollata.
Questa considerazione e l’esperienza clinica ci dicono che l’intervento sul sintomo è utile ma non risolutivo in quanto si basa sul comportamento e non sulle istanze intrapsichiche che l’hanno generato. E’ necessario trovare nella storia di vita del paziente, partendo dalla sua infanzia ed adolescenza, quali sono state le sue esperienze di vita che hanno generato una risposta disfunzionale che con il tempo è diventata automatica.
Ad esempio se è stato vittima diretta od indiretta degli attacchi rabbiosi ed aggressività incontrollata da parte dei genitori o di altre figure significative.
Solo elaborando tali esperienze (dalla semplice trascuratezza alle varie forme di violenza ed abuso) e lavorando sui sentimenti provati in tali circostanze (paura, frustrazione, umiliazione, vergogna, impotenza, ecc. ) è possibile liberarsi dalla rabbia patologica ed acquisire capacità di autocontrollo.
La psicoterapia si considera conclusa quando il paziente raggiunge un grado di benessere generale con la scomparsa o la riduzione significativa dei sintomi .
Le tecniche che utilizzo variano in base al caso specifico, al grado di sofferenza ed agli obiettivi di cambiamento che il paziente si propone. Questo approccio integrato comprende la Psicoanalisi Relazionale Breve, l’ EMDR e l’AIP (Elaborazione Adattiva dell’Informazione) , la Psicoterapia cognitivo-comportamentale
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